Blocco dei container da luglio 2016?

fonte: Sole24Ore

Il prossimo luglio entrerà in vigore una nuova norma Solas (sulla sicurezza nella navigazione), messa a punto dall’Imo (International maritime organization). Questa normativa impone, dopo che alcune portacontainer si sono spezzate in viaggio, perché imbarcavano contenitori più pesanti di quanto nominalmente dichiarato, che tutti i container siano pesati con un sistema certificato prima di essere caricati su una nave.

Una scelta rigida dell’apparato burocratico italiano, nell’applicare una norma marittima internazionale, rischia di creare un blocco nella catena logistica dell’export dei container e quindi di gran parte delle nostre esportazioni. Un vulnus che incide potenzialmente su 2,5 milioni di contenitori (a tanto ammontano i volumi in export), a fronte dei 4,8 milioni movimentati in tutto (tra import ed export) in Italia.

La questione sta allarmando molte categorie del cluster marittimo (terminalisti, armatori, spedizionieri, trasportatori) ma i primi ad essere colpiti sono gli shipper, cioè i caricatori delle merci.

Ogni nazione sta affrontando il problema per adeguarsi alla legge. Ma mentre altri Paesi Ue (Uk e Danimarca in primis) hanno affrontato la questione con pragmatismo, dando il via libera ai sistemi di pesatura dinamici, consentendo ampie tolleranze (fino a una tonnellata), e tempi anche lunghi (un anno) per le certificazioni, il Ministero dello Sviluppo economico italiano, rifacendosi a una serie di leggi nazionali sugli strumenti per pesare (tra i quali un regio decreto del 1902), ha reso noto che i container, da noi, devono essere pesati con pese a raso e con una tolleranza massima di 20 chili.

Questa indicazione arriva dopo un lavoro di collaborazione tra operatori e comando generale delle capitanerie, che è sfociato in una richiesta di chiarimento sul sistema di pesatura al Mise, che è organo competente sull’argomento. I tecnici ministerilai, però, hanno deluso le aspettative, fornendo un’indicazione molto stringente che, dicono gli operatori, «sarebbe giustificabile se la pesatura fosse necessaria per una transazione commerciale. Ma certamente non lo è per il carico di una nave, che permette tolleranze alte».

Vi sono, tra l’altro, diversi problemi. Il primo è che non esiste, a oggi, un censimento puntuale delle pese a raso esistenti in Italia (e tantomeno di quelle certificate), nonostante il Mise abbia incaricato Unioncamere di farne un elenco, che risulta lacunoso per via di indicazioni approssimative arrivate dai territori. Inoltre le pese a raso implicano che un camion con container debba passare due volte sul sistema di pesatura (una volta carico e una scarico, per far la tara fra i due pesi), con ovvi problemi logistici. «C’è il rischio – secondo gli operatori dello shipping – che si crei un cortocircuito sulla catena logistica export, con impatto non solo sulla competitività dei porti ma sull’intera economia italiana, che ha retto, in tempi di crisi, proprio grazie alle esportazioni. Bisogna capire, tra l’altro, che la responsabilità della pesatura è del caricatore e il terminal non accetta il container se non c’è un peso valido. Vi è quindi rischio di congestione ai gate portuali». La normativa, inoltre, lamentano ancora gli operatori «per come è impostata non consente l’uso di pese dinamiche che invece sono neutrali rispetto ai tempi di carico, scarico e trasporto»; perché possono essere collocate sulle gru che movimentano i container. E poi hanno tolleranze di 200-300 chili e sono state scelte da altri Paesi Ue. Inoltre costano meno delle pese a raso (18-20mila euro contro 30-50mila). «L’obiettivo – per gli operatori – è di avere le stesse opportunità di altri Paesi comunitari e utilizzare le pese dinamiche. Non è un obiettivo commerciale, ma di efficienza del sistema Paese».

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